Primo bagnetto: i prodotti indispensabili da tenere a portata di mano

Consigli utili su quali prodotti usare per il primo bagnetto del bebè

bagnetto bimbo
La pelle dei neonati è molto delicata e sottile e va facilmente incontro ad arrossamenti e dermatiti.

Quando si torna a casa dall’ospedale, dopo aver partorito, le neomamme vengono spesso assalite da numerosi dubbi su come pulire il bambino, cambiare il pannolino, allattare e gestire il sonno del piccolo (e di sè stesse).
Ma una delle perplessità più frequenti e diffuse riguarda il bagnetto.

Ad esempio, quali sono i prodotti migliori per il bagnetto?
Vediamo come orientarci.

E’ molto importante non usare detergenti schiumosi, ma piuttosto oleosi, e possibilmente di origine naturale, proprio per non irritare la pelle così delicata del piccolo. E’ perfetto un gel rilassante oppure un olio idratante.

Esistono in commercio dei detergenti utili sia per la pelle del corpo che per i capelli. Non fanno lacrimare e non bruciano gli occhi e soprattutto mantengono inalterato il ph della pelle e non sono aggressivi.

Se il piccolo ha la crosta lattea si può fare un piccolo impacco con un po’ d’olio o con il detergente oleoso prima del bagnetto e poi passare al lavaggio.

Ecco cosa è bene avere a portata di mano:
– una spugnetta naturale, morbida e delicata
– detergente corpo e shampoo delicato – perfetto lo shampoo alla camomilla
– asciugamano morbido e pulito
– occorrente per la medicazione del cordone ombelicale – garze pulite di cotone
– crema all’ossido di zinco

La crema all’ossido di zinco è utile per prevenire la dermatite da pannolino e per creare una barriera protettiva tra lo strato dell’epidermide e l’urina e le feci.

Fonte: pianetamamma.it e immagine di alfemminil.com

Come curare l’acne durante la gravidanza

la pelle in gravidanza
Una donna su due soffre di acne in gravidanza. Ecco come intervenire e come prendersi cura della pelle del viso.

Secondo uno studio condotto presso l’Ospedale Universitario di Nantes, in Francia, l’acne in gravidanza interessa quasi una donna incinta su due.

La causa di questo disturbo è soprattutto legata ai cambiamenti ormonali. La secrezione di estrogeni e progesterone subisce grandi alterazioni durante la gravidanza e questo si ripercuote anche sulla produzione di sebo e sull’equilibrio della pelle.

E il rischio di soffrire di acne è molto più alto per le donne che hanno avuto problemi di acne durante l’adolescenza o in una gravidanza precedente.
Punti neri, brufoli rossi, piccole cisti: l’acne in gravidanza può interessare non solo la pelle del viso, ma anche quella della schiena o del petto.

Come intervenire?
La dermatologa francese Brigitte Dréno ricorda che la maggior parte dei prodotti cosmetici o farmaceutici che vengono generalmente prescritti per curare l’acne, sono controindicati in gravidanza a causa di sostanze potenzialmente tossiche per il feto, come i retinoidi, la tetraciclina, l’isotretinoina.
L’esperta spiega che possono essere utili prodotti a base di zinco che riducono l’infiammazione della pelle.
Inoltre è importante seguire qualche semplice consiglio:

– non utilizzare saponi per lavare la pelle, ma preferire il pane dermatologico

– non spremere i punti neri e i brufoli perchè la ferita può infettarsi e può rimanere la cicatrice

– evitare maschere e scrub che irritano la pelle e aumentano l’infiammazione; utilizzare solo creme molto fluide, leggere e non comedogeniche.

Fonte: pianetamamma.it

Come togliere il pannolino

pannolino

Togliere il pannolino, è un momento delicato sia per il piccolo che per i genitori. Questo passaggio è particolarmente importante perchè sancisce la crescita ma anche un sempre più preciso controllo delle sue funzioni corporali. Gli adulti, dovrebbero cercare di essere pazienti e sereni, evitando di mettere fretta al bambino che, potrebbe anche bloccarsi oppure ostinarsi a volere il pannolino per molto tempo. In genere, l’età migliore per iniziare a provare a togliere il pannolino parte dai diciotto mesi anche se per molti è meglio attendere i due anni. La scelta del momento più idoneo dipende dal bambino, dal suo grado di sviluppo e dal rapporto col proprio corpo; alcuni, desiderano imitare i fratelli o i genitori e riescono velocemente ad abbandonare il panno invece, per altri è un processo piuttosto lungo.

Il periodo migliore è quello caldo, appena termina il freddo certamente il piccolo è più stimolato e riesce meglio a controllare gli sfinteri. Inoltre, è bene che un adulto, non necessariamente i genitori, sia in grado di dedicargli del tempo per portarlo in bagno più volte al giorno o per incoraggiarlo all’uso del vasino. L’importante è che ci si ponga sempre in modo positivo, evitando brusche sgridate o paragoni. Se vi rendete conto che il piccolo non è pronto, meglio attendere e riprovare anche se tutto questo non può essere rimandato troppo. Il pannolino va tolto prima durante il giorno e poi per la notte; quando il piccolo riesce ad usare il water, gli adulti devono lodarlo, in modo da favorire sempre di più questa progresso. Studiando le abitudini del bambino, è più facile capire quale sia il momento in cui, generalmente, defeca; è possibile quindi, organizzarsi in modo da suggerirgli l’uso del vasino o del water. I progressi non sempre sono veloci ma, spesso sono accelerati anche dalla sgradevole sensazione di sentirli sporchi e bagnati. Quando si esce, è bene avere qualche cambio: degli slip, dei pantaloncini e qualche sacchetto di plastica dove tenere gli indumenti sporchi. In tutta questa delicata fase, cercate di fargli sentire come è bello essere indipendenti e diventare grandi, proprio come la sua mamma ed il suo papà.

Fonte: bimboweb.net

Beauty gravidanza: previeni così le smagliature

prevenire le smagliature
L’unico mezzo davvero efficace per combattere le smagliature resta la prevenzione, mantenendo la pelle elastica. Ma quando il danno è fatto?

Perchè vengono le smagliature?

Per vari motivi: predisposizione genetica, fattori ormonali e stile di vita, ovvero l’alimentazione, gli sbalzi repentini di peso, il sonno, l’uso di alcool e tabacco, i ritmi troppo stressanti ma anche l’eccessiva sedentarietà.
La gravidanza può diventare un fattore scatenante, per via dei cambiamenti ormonali, associati all’aumento di peso, ma non è la regola.
Utilizzare fin dai primi mesi, quotidianamente, una crema idratante o un olio di mandorle o alla rosa mosqueta o al germe di grano, e tenere sotto controllo il peso, soprattutto negli ultimi mesi, aiuta a prevenire la comparsa di queste antiestetiche striature.

Mi sono già comparse le smagliature. Che faccio?

Solitamente si presentano su glutei, cosce, fianchi, addome e sul seno, all’inizio sono di colore rosso, poi cicatrizzano e diventano di color bianco perlaceo. In quel punto la cute si avvalla, e lo si può sentire passandoci sopra con il polpastrello e a volte anche alla vista.
Al giorno d’oggi ancora non esistono rimedi risolutivi, a meno di non ricorrere alla chirurgia estetica, ovviamente cercando di intervenire quando la smagliatura è ancora rossa. In questo caso, si può anche eliminare attraverso dei fitoterapici o degli attivatori del metabolismo cellulare. Un’altra tecnica è la luce pulsata ad alta intensità, o IPL (Intense Pulsed Light), che agisce grazie all’emissione di energia luminosa sulla zona interessata.

Quando il segno ormai è cicatrizzato, non lo si può eliminare però si può cercare di renderlo meno visibile e sgradevole cercando di mitigarne il colore, rendendolo più simile a quello della pelle circostante, e si prova a ridurre l’avvallamento attraverso processi liscianti e spiananti, come i peeling all’acido glicolico o retinoico o alla vitamina C.
Esiste anche il Cromopeel da fare però in ambulatorio, ma anche con questo non si elimina la smagliatura pur diminuendone molto la visibilità.
La microdermoabrasione, una delle tecniche più efficaci, viene eseguita con apparecchiature aspiranti a base di cristalli di corindone. La macchina risolleva il derma e, attravero una sabbiolina, provoca un’abrasione superficiale della pelle, migliorando la microcircolazione della zona. Con dieci applicazioni si hanno evidenti risultati.

Per ultima cosa segnaliamo le terapie microiniettive di biorivitalizzazione del tessuto attraverso l’iniezione di acido ialuronico che stimola la produzione di collagene, anche nel tessuto cicatriziale. Il collagene favorisce il distacco delle cellule morte e richiama acqua negli strati superficiali della pelle, migliorandone idratazione ed elasticità. Dato il costo e il numero di trattamenti necessari, sono indicati nei casi di smagliature piccole e poco numerose.

In gravidanza queste odiatissime smagliature, se decidono di farci visita, solitamente si presentano sempre nella seconda metà della gestazione, cioè dopo il 4° mese, anche se le basi per la loro comparsa sono nel comportamento alimentare ed igienico dei primi mesi
Le donne a carnagione chiara sono più predisposte e anche la familiarità incide: c’è più probabilità di averle se già le hanno madre o sorelle.

Se nonostante le precauzioni, le smagliature si dovessero presentare non ci si deve preoccupare perché dopo il parto, proprio perché la pelle è stata trattata durante la gravidanza, la loro estensione diminuisce di molto. Anche il colorito roseo o violetto, mano a mano si fa sempre più chiaro sino a diventare perlaceo, e sulla pelle rimangono di solito aree lineari biancastre poco evidenti.

Fonte: Emanuela Cerri per pianetamamma.it

Come insegnare ai bambini a stare a tavola

bambini a tavola

Insegnare ai bambini a stare a tavola può sembrare un’impresa e può capitare che proprio in occasione delle feste, la questione ci crei degli imbarazzi anche con gli ospiti.

Ma quello che dobbiamo ricordare è che i bambini imparano molto facilmente, soprattutto quando hanno dei buoni insegnanti.

Anche per imparare a stare a tavola occorre una gradualità che rispetti i tempi di crescita dei bambini

Dunque vanno aiutati con un buon modello e con qualche semplice rituale.

Lavarsi le mani
Aiutarci a sistemare la tavola
Spegnere la televisione
Un semplice rituale che prepara al momento del pasto, cioè alla condivisione del cibo con le persone che sono sedute allo stesso tavolo. Una pausa tra le altre attività della giornata, un’occasione per stare insieme alla mamma e al papà, ai fratelli. Uno spazio piacevole per nutrire il corpo ma anche le nostre relazioni.

In questa ottica i rituali e le regole valgono anche per noi adulti: niente telefono, niente televisione, ma rispetto per i bambini e per gli adulti che sono a tavola con noi.
Per il bambino il contesto che circonda il momento del pasto è un fattore importante così come partecipare ad un momento familiare di incontro attorno alla tavola. Crescendo poco per volta, potremo insegnare al bambino a stare seduto correttamente a tavola, utilizzare correttamente le posate, il tovagliolo, il bicchiere e il galateo.

Intorno ai 3 anni, il nostro bambino dovrebbe essere in grado di stare a tavola con noi senza problemi. I bambini che vanno all’asilo o a scuola e mangiano a mensa, si strutturano al rito del pasto più velocemente.
Va sottolineato però che i tempi degli adulti non sono quelli di un bambino.

Non possiamo chiedere a un bambino di restare seduto a tavola troppo a lungo. Ma è importante che così come inizia con un rituale, il tempo di stare a tavola si chiuda con un rituale:

per alzarsi da tavola è necessario chiedere il permesso a mamma e papà.
Se vogliamo aiutare i bambini a stare a tavola con noi, dobbiamo creare un contesto che sia piacevole per loro. Manteniamo interesse e attenzione nei loro confronti, diamo loro lo spazio per esprimersi, evitiamo discussioni, litigi e argomenti che li escludano, evitiamo di fumare, stare al telefono, guardare la tv, etc. Evitiamo di far stare i bambini seduti a mangiare da soli mentre noi sbrighiamo altre faccende.

Diamogli il permesso di alzarsi se hanno finito di mangiare senza costringerli a stare a tavola per puntiglio.
Con i suoi tempi ogni bambino imparerà a stare a tavola anche a lungo, ma ricordiamoci, ancora una volta, di essere dei modelli positivi e rispettosi.

photo credit: hmmlargeart via photopin cc

Fonte: deabyday.tv

Amniocentesi e villocentesi: come, quando, risultati e costi

amniocentesi

Come funzionano gli esami di indagine in caso di sospette anomalie cromosomiche, come la fibrosi cistica o la sindrome di Down.

Al momento, sono gli unici esami disponibili per ottenere informazioni certe sul profilo cromosomico e genetico del nascituro. L’amniocentesi consiste nel prelievo e nell’analisi di un campione di liquido amniotico, ricco di cellule fetali. La villocentesi nel prelievo e nell’analisi di alcune cellule dei villi coriali, che fanno parte della placenta e dunque condividono il DNA del feto.

Entrambi gli esami offrono la certezza diagnostica in caso di sospette anomalie cromosomiche, come la sindrome di Down, oppure di sospette patologie genetiche, come la fibrosi cistica. Si tratta, però, di test invasivi che comportano un rischio piccolo, ma non nullo di interruzione accidentale della gravidanza. Per l’amniocentesi, se viene effettuata in un centro specializzato da un operatore esperto, il rischio di aborto è in media dello 0,5%. Per la villocentesi, che richiede maggiore abilità, è leggermente superiore: intorno all’1%.

In considerazione della loro invasività, amnio e villocentesi vengono consigliate e offerte gratuitamente solo nelle gravidanze a rischio significativo di patologia cromosomica o genetica. Nelle gravidanze a basso rischio, si consiglia di fare ricorso in prima istanza a esami non invasivi che forniscono una stima della probabilità di una patologia e solo in seguito, in base al risultato ottenuto, optare eventualmente per l’analisi invasiva. Da anni, poi, sono allo studio approcci alternativi, che offrano il duplice vantaggio della certezza diagnostica e della non invasività, come l’analisi delle cellule fetali presenti nel sangue materno.

AMNIOCENTESI

Come si fa: l’amniocentesi si effettua di norma dopo la 15esima settimana di gravidanza. Consiste nel prelievo di 20-25 millilitri di liquido amniotico che viene eseguito con un ago sottile inserito attraverso la parete addominale sotto guida ecografica. Le cellule fetali presenti nel campione di liquido vengono poi coltivate in vitro per 10-15 giorni e infine sottoposte a esame dei cromosomi per rilevare eventuali anomalie o alla ricerca di specifiche mutazioni genetiche.
Che cosa succede dopo: al termine del prelievo di liquido amniotico, la donna può percepire una sensazione di fastidio all’addome simile al dolore mestruale, dovuta a lievi contrazioni della muscolatura uterina stimolata dal passaggio dell’ago. Per evitare ulteriori sollecitazioni, di solito la futura mamma viene invitata a riposare distesa su un lettino per dieci-quindici minuti dopo l’esame. Dovrà poi astenersi da attività faticose per il resto della giornata e per i due giorni successivi, al termine dei quali cessa il rischio di abortività legato al prelievo. Non sono necessari accertamenti per valutare il benessere fetale.
A che cosa serve: di solito l’amniocentesi viene richiesta per diagnosticare eventuali alterazioni cromosomiche, prima tra tutte la trisomia 21, o sindrome di Down, che è la più frequente. Indagini su specifici geni vengono prescritte quando uno o entrambi i genitori sanno o sospettano di essere portatori di patologie ereditarie come la fibrosi cistica o la talassemia beta. L’amniocentesi offre una risposta diagnostica certa su tutte le anomalie cromosomiche conosciute, oltre 200, e sulle più frequenti patologie genetiche, ma non consente di escludere in toto l’eventualità di un’alterazione genetica o di una malformazione di altra natura.
I risultati: per ottenere il responso completo dell’amniocentesi è necessario attendere dalle 2 alle 3 settimane dal prelievo. Da alcuni anni, però, le strutture più attrezzate offrono la possibilità di ottenere in tempi brevi, entro 48 ore dal prelievo, una risposta parziale relativa a eventuali anomalie dei cromosomi 21, 18, 13 e dei cromosomi sessuali. La tecnica, nota come QF-PCR (da Quantitative Fluorescent Polymerase Chain Reaction), fornisce quindi un risultato diagnostico quasi immediato per la sindrome di Down, la sindrome di Patau e la sindrome di Edwards. Per le altre patologie occorre aspettare l’analisi completa.
Il costo: il servizio sanitario pubblico offre gratuitamente l’amniocentesi in presenza di specifici fattori di rischio: in caso di età materna uguale o superiore a 35 anni al momento del concepimento, se uno o entrambi i genitori sono portatori di anomalie cromosomiche o genetiche, in presenza di anomalie malformative evidenziate con l’ecografia, in caso di precedenti gravidanze con patologie cromosomiche e, infine, se un esame per la valutazione probabilistica del rischio di sindrome di Down, come il Bitest, ha fornito un esito uguale o superiore a 1/250.
Se effettuata privatamente, l’amniocentesi costa 600-800 euro. Di più, se oltre all’analisi di base viene chiesta la ricerca di specifiche mutazioni patogene.

VILLOCENTESI

Come si fa: la villocentesi consiste nel prelievo di alcune cellule dei villi coriali, che fanno parte della placenta e dunque sono cellule fetali, portatrici del DNA del nascituro. Come per l’amniocentesi, il prelievo avviene mediante un sottile ago introdotto attraverso la parete addominale sotto guida ecografica. L’esecuzione richiede maggiore esperienza e abilità rispetto a quella dell’amnio, dunque il rischio di abortività accidentale è in media leggermente superiore.
Che cosa succede dopo: dopo l’esame, è necessario osservare le stesse accortezze richieste per l’amniocentesi: una decina di minuti di riposo assoluto e divieto di svolgere attività faticose nei due giorni successivi.
A che cosa serve: l’analisi del profilo cromosomico e genetico delle cellule prelevate offre le stesse informazioni ottenibili con l’amnio.
I risultati: il vantaggio della villocentesi è nella sua rapidità. È infatti possibile effettuare l’esame a partire dalla 10ma settimana di gravidanza. L’esito preliminare dell’analisi è disponibile 48 ore dopo il prelievo. Occorrono, però, due settimane per avere la verifica della correttezza del risultato. La scelta tra i due esami, confrontando rischi e vantaggi di entrambi, spetta alla donna e al medico curante.
Il costo: i criteri per l’esenzione dal pagamento del ticket sono gli stessi previsti per l’amniocentesi. Effettuata privatamente, la villocentesi costa in media 1500 euro.
L’utilità del BITEST
In presenza di specifici fattori di rischio personali o familiari o se la donna concepisce a un’età uguale o superiore a 35 anni, la probabilità che il feto sia portatore di un’alterazione cromosomica o di una particolare patologia genetica supera il rischio di interruzione accidentale della gravidanza dovuto all’invasività dell’amnio o della villocentesi. In questi casi il ginecologo consiglia alla donna di sottoporsi a uno di questi due test per avere la certezza diagnostica e il servizio sanitario pubblico offre gratuitamente la prestazione. Quando invece il rischio di aborto accidentale è superiore al rischio prevedibile di un’anomalia cromosomica o genetica, è consigliabile, per chi lo desidera, sottoporsi preliminarmente a un esame di screening non invasivo che fornisce una stima più precisa della probabilità di patologie: il Bitest con translucenza nucale. In base all’esito, con la consulenza dello specialista la donna deciderà se ricorrere a un esame invasivo.

Come si fa: il Bitest o dual test consiste nel prelievo di un campione di sangue materno per misurare la concentrazione di due proteine rilasciate dalla placenta che indicano la maturità del feto. Confrontando i risultati dell’analisi con le curve standard della concentrazione delle due proteine, è possibile stimare la probabilità che il piccolo sia portatore di trisomia 21, la sindrome di Down. Il periodo indicato per effettuare l’esame va dall’11esima alla 12esima settimana di gravidanza. Nella stessa finestra temporale è possibile effettuare l’esame della translucenza nucale che, abbinato al bitest, garantisce una sensibilità del 98%, con un tasso di falsi positivi del 6%. L’esame della translucenza nucale è un test ecografico che consiste nella misurazione dello spessore dei tessuti nucali del feto, che in media a questa età gestazionale è di 2,5 millimetri, mentre nei feti portatori di sindrome di Down è sensibilmente maggiore. Poiché l’affidabilità dell’esame è strettamente legata all’abilità e all’esperienza dell’ecografista, è importante rivolgersi a una struttura pubblica o privata ad alta specializzazione e verificare che l’operatore sia accreditato presso la Fetal Medicine Foundation, l’organizzazione britannica che ha stabilito le linee guida per la traslucenza nucale Bistest e translucenza nucale non comportano alcun rischio per il proseguimento della gravidanza e per la salute del nascituro.
I risultati: l’esito della translucenza è immediato, mentre il risultato dei due esami combinati di norma è disponibile una settimana dopo il prelievo di sangue.
Il costo: Bitest ed esame della translucenza nucale non vengono offerti gratuitamente dal servizio sanitario pubblico. Il costo varia dai 70 ai 250 euro.
Le alternative allo studio
Da anni sono allo studio test alternativi ad amnio e villocentesi che offrano la stessa certezza diagnostica ma non comportino rischi di aborto accidentale. Uno di questi esami, messo a punto da un gruppo di medici e biologi dell’Università di Perugia, è già disponibile gratuitamente per le future mamme residenti in Umbria portatrici di uno o più fattori di rischio di alterazioni cromosomiche, in regime di “applicazione clinica controllata” in attesa di validazione definitiva. Consiste nel prelievo di un campione di sangue materno tra la 10ma e la 13ma settimana di attesa, nella ricerca e nell’analisi delle rare cellule fetali che il sangue contiene. Il risultato, disponibile circa due settimane dopo il prelievo, fornisce una diagnosi relativa al sesso del nascituro e a tre alterazioni cromosomiche, tra trisomia 21, la 13 e la 18. Dagli esperimenti condotti finora risulta che l’esame ha lo stesso valore predittivo dell’amnio e della villocentesi.

Fonte: redazioneDA per dolceattesa.rcs.it

L’importanza dei nonni

nonni e nipoti

Il tenero rapporto di complicità che si crea tra nonni e nipoti è così bello che, quando possibile, non deve mancare ai piccoli. Questa dolce relazione risulterà indimenticabile nel tempo e verrà ricordata in epoca adulta con molta nostalgia.

L’importanza dei nonni per i bambini è assoluta.

Il tenero rapporto di complicità che si crea tra nonni e nipoti è così bello che, quando possibile, non deve mancare ai piccoli. Questa dolce relazione risulterà indimenticabile nel tempo e verrà ricordata in epoca adulta con molta nostalgia.

Per questo i nonni sono importanti.

Il loro non è un ruolo educativo. I genitori devono educare e far rispettare le regole mentre i nonni hanno un ruolo più rilassato fatto di coccole e giochi insieme. E’ molto importante che esista un dialogo tra i genitori e i nonni per chiarire la base dell’educazione che essi prediligono per il piccolo, soprattutto per rispettarla e non creare confusione. Il bambino infatti tenderà a preferire i nonni se questi lo “vizieranno” con amore permettendogli di fare cose che gli sono state vietate dai genitori. Questo atteggiamento renderà i nonni “ buoni” agli occhi del piccolo e i genitori “cattivi”.

Non è l’approccio educativo più giusto. Per questo è logico chiarire subito le regole attorno alle quali poi è possibile spaziare. Il bambino deve capire che i genitori hanno uno scopo preciso, devono educarlo e i nonni non devono sottovalutare questo ruolo importante, non devono sminuire le regole educative imposte perché finirà per farlo anche il piccolo che tenderà a vedere i genitori senza particolare autorità smettendo di ascoltarli.

Un esempio classico è il divieto di guardare la T.V. per varie ragioni (anche una semplice punizione), e la nonna che invece accende la televisione dicendo che non le sembra giusto non far vedere i cartoni animati al nipotino. Il bambino ne sarà felice, ma la nonna con questo suo atteggiamento farà perdere di autorità ai genitori. Il bambino comprenderà che le punizioni possono essere cancellate dai nonni e finirà per rivolgersi sempre a questi per ottenere quello che vuole.
Il consiglio è quello di chiarire sempre i vari punti educativi con i nonni per non trovarsi a discutere in seguito quando ormai “il danno è fatto”.

E’ importante anche non discutere in presenza del bambino. Non è un buon atteggiamento perché il piccolo percepisce che i propri genitori non sono in grado di far valere le regole visto che alla fine sono i nonni che hanno “il comando” della situazione. Questo è solo un esempio. Fortunatamente non tutte le famiglie devono imporre le proprie idee e regole, non ne hanno bisogno, visto che la base su cui hanno fondato le relazioni personali è fatta di dialogo e comprensione. Alla fine è solo la comunicazione che ristabilisce la tranquillità e i vari ruoli nella famiglia. Ognuno ha il suo ruolo, è solo così che il bambino avrà una formazione sfaccettata e completa.

Fonte: Akira per pianetamamma.it e immagine di donnamoderna.com

Come superare la paura dell’acqua

La paura dell’acqua nei bambini è una paura molto comune. Vediamo come superarla con i consigli degli esperti.

paura dell'acqua

Superare la paura dell’acqua per i bambini è possibile ma occorre tempo e molta pazienza, perchè i bambini hanno bisogno di prendere confidenza e guadagnare sicurezza, fino ad affrontare l’acqua in modo positivo, come un momento di piacere.

Per alcuni bambini il rapporto con l’acqua è spontaneo e naturale e si divertono moltissimo sia al mare che in piscina, per altri invece ci può essere stato un evento che li ha spaventati, come una caduta in acqua e che li ha resi timorosi a rientrare in acqua. Per altri bambini invece anche solo la vista delle onde del mare o l’idea di dover entrare in piscina, scatena il panico. Buttarli in acqua per forza non è la soluzione.
Superare la paura dell’acqua per i bambini è possibile ma senza mai forzarli nè imporgli l’entrata in acqua, che potrebbe essere un ulteriore shock

Per aiutare i nostri bambini a superare la paura dell’acqua possiamo utilizzare una serie di strategie di avvicinamento per tappe:

Camminare insieme a loro vicino all’acqua
Sedersi sulla riva o sul bordo piscina a giocare
Bagnarsi i piedi e le manine
Per tappe arrivare a farli restare alcuni minuti con le gambe in acqua, sempre giocando e senza mai allontanarsi
Aggiungere qualche gioco semplice da fare insieme in piedi o seduti nell’acqua, con la palla o con un altro giocattolo
Nella buona stagione si può sistemare una piccola piscina gonfiabile in casa dove possono stare immersi, ma mai da soli
Entrare in acqua insieme a loro rassicurandoli ed eventualmente aggiungendo bracciolini e salvagente per farli sentire più sicuri e comunicate tranquillità e piacevolezza, uscendo subito se il bambino ha paura
In tutti i casi avvicinate i bambini all’acqua quando il mare è calmo e in piscina sempre dalla parte dell’acqua bassa

Un ottimo modo per aiutare i bambini a superare la paura dell’acqua è di iscriverli ad un corso in piscina, magari iscrivendovi insieme a loro. In tutte le piscine ci sono corsi di acquaticità dedicati ai bambini anche molto piccoli, con istruttori preparati a questo tipo di problema.

Fonte: Paola Caselli per deabyday.tv

Come fare le caramelle gommose o marshmallows

caramelle gommose
Le caramelle gommose. Quante ne abbiamo mangiate da bambini.

Soffici e vaporose come batuffoli di ovatta, colorate di tenui tinte pastello, le gommose, universalmente conosciute anche come marshmallowes, sono semplici caramelle di zucchero, da preparare in pochi minuti

Potete tagliarle in cubetti, cilindretti, oppure farne delle strisce di varie lunghezze.

Una volta pronte, incartatele con del cellophane per alimenti o conservatele in un barattolo di vetro ben chiuso.

Cosa ci occorre:

200 g di zucchero
2 albumi
140 ml acqua
25 g di colla di pesce (gelatina in fogli)
aroma di vaniglia o di arancia
coloranti per alimenti
1 busta di zucchero a velo
Pentolini, sbattitore o frusta, stampo rettangolare, carta forno
Procedimento:

Immergete la colla di pesce in acqua fredda per farla ammorbidire poi scolatela e strizzatela.
Preparate lo stampo ungendolo con poco olio di mais (o girasole) e spolveratelo con abbondante zucchero a velo su tutta la superficie.
In un pentolino mettete sul fuoco a fiamma bassa, lo zucchero e l’acqua con qualche goccia di limone e fate cuocere fino a quando lo zucchero inizia appena a caramellare (colore ambrato)
Unite la colla di pesce e l’aroma che preferite, vaniglia o arancia.
Mescolate per incorporare la gelatina e togliete dal fuoco.
Montate a neve gli albumi con un pizzico di sale e, continuando a montare, unite lo sciroppo di zucchero, versando a filo lentamente.
Se volete colorarle, aggiungete a questo punto anche qualche goccia di colorante. Separate il composto in diverse vaschette se volete dare colori diversi.
Versate il composto nello stampo e uniformate il livello con il dorso di un cucchiaio. Spolverate con lo zucchero a velo, distribuendolo con un passino.
Coprite con la pellicola e mettete in frigo finchè si sarà rappreso.
Riprendete lo stampo e con un coltello senza lama tagliate le marshmallows nella forma che preferite.
Potete anche usare gli stampini per biscotti per dare forme di cuore, stella o cerchi.

fonte: deabyday.tv

Allergia al latte vaccino: come riconoscerla

Ecco come riconoscere l’allergia al latte e perchè spesso è inutile e controproducente eliminare alcuni cibi dalla dieta se si allatta

allergia al latte vaccino

Il bambino viene allattato al seno e piange, piange. Piange di continuo, senza sosta. E’ ciò che accade a molte neomamme che cominciano ad essere assalite da mille dubbi, domande e immancabili sensi di colpa. E’ forse qualche alimento che ho mangiato e che gli fa male attraverso il mio latte? E’ forse allergico al latte vaccino?

E molte cominciano ad eliminare cibi e alimenti andando incontro a carenze nutrizionali e magari senza risolvere davvero il problema.
I bambini piccoli piangono, spesso per motivi davvero difficili da comprendere, forse hanno le coliche, forse sono stanchi, forse hanno fame. Chissà.
E diagnosticare un’allergia in un bambino è davvero difficile, innanzitutto per i medici specialisti, figuriamoci per le mamme.

Facciamo un po’ di chiarezza.
Una piccola percentuale di bambini è davvero allergica alle proteine del latte vaccino, ma si tratta di una percentuale molto piccola e certamente inferiore a quanto non si creda comunemente: si tratta del 2-8% dei bambini e la percentuale non supera l’1% per i bambini che vengono allattati al seno in maniera esclusiva.

Esiste una sostanziale differenza tra allergie ed intolleranze: l’allergia provoca una reazione immunitaria immediata, spesso molto forte, come lo choc anafilattico, l’intolleranza invece causa una serie di risposte fisiologiche di solito non immuni.
I test del sangue che cercano di diagnosticare le allergie non possono essere utili in caso di intolleranze e infatti molti allergologi utilizzando esami diversi per diagnosticare le allergie. Ad esempio quelle delle sfide alimentari orali, cioè i bambini vengono esposti ad allergeni veri o placebo in maniera alternata per verificare la risposta del sistema immunitario.

Questi test, condotti negli anni, hanno permesso di scoprire che la percentuale di bambini realmente allergici è molto più bassa di quanto si sospettasse: ad esempio uno studio olandese condotto su 116 neonati e bambini con sospetta allergia al latte vaccino ha scoperto che in realtà era allergico solo il 40% dei soggetti.
Inoltre le allergie infantili spesso scompaiono con gli anni e con la crescita e infatti gran parte delle allergie al latte vaccino sparisce dopo il terzo anno di vita.
Detto questo, i sintomi di un’allergia alimentare sono molto più che il semplice pianto, per quanto insistente. Il bambino allergico manifesta eczemi, rush cutanei, diarrea, tosse e/o vomito.

Visto che le allergie alimentari sono così rare nei bambini, si capisce che è del tutto inutile, anzi rischia di essere controproducente per la qualità del latte e per la salute della madre, eliminare alcuni cibi dalla dieta se si sta allattando.

Alcune possono cercare di non mangiare alcuni prodotti che sembrano favorire la comparsa delle colichette neonatali o aumentare il meteorismo nei bebè, come cioccolato, broccoli, latte vaccino o cipolle, ma anche questa non sembra essere una buona idea perchè è importante che il neonato venga esposto al più alto numero di cibi possibile. D’altronde le colichette si risolvono nella maggior parte dei casi da sole, entro sei settimane di vita, e senza che alcun intervento sia risultato risolutivo.

Nessuno studio scientifico ha dimostrato in maniera inequivocabile che cambiare la dieta durante l’allattamento abbia un effetto davvero significativo sulle coliche neonatali, e spesso il pianto del bambino viene arbitrariamente associato a qualcosa che la mamma ha mangiato dalla mamma stessa, senza che vi sia un reale rapporto causa-effetto.

Fonte: pianetamamma.it